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01/11/2017

MISSIONE IN UGANDA: IL RACCONTO DEI VOLONTARI

Le prime impressioni di Valeria Pomarici, Project Manager AFRON



L’Africa quando ti accoglie ti rivela sempre qualche magia.  Lo fa a modo suo con le sue stelle, la sua gente, i suoi odori.
Mancavo da cinque anni e poi tutto è successo in un attimo. La porta di casa che si chiude, il volo, il mercato, la prima notte di silenzio e poi il viaggio, quello vero. Fatto di  buche, polvere e di paesaggio che cambia.

Abbiamo caricato il nostro pulmino con tutto il materiale per la campagna e percorso i 400 km che separano Kampala da Matany impiegando un giorno intero.
Conoscevo il mal di terra, quello che ti viene dopo diversi giorni di navigazione appena scendi dalla barca. Non pensavo esistesse anche il “mal di Matatu”, quello che ho provato la sera dopo 13 ore in pulmino.


Un misto di vertigine e ubriachezza. Il pulmino carico, le strade sconnesse e le ultime due ore sotto le stelle, senza nessuna indicazione e alla sola luce dei fari. Un avvicinamento lento, degno dei viaggi più belli. Avevamo polvere ovunque eppure mi sembrava di avere appena ripreso a respirare.

Siamo un gruppo misto, persone che si conoscono appena, un po’ ugandesi un po’ italiane. Ma arrivati a destinazione siamo quasi una famiglia. Siamo saliti a bordo come timidi individui e siamo scesi come una squadra. E questa è la prima magia.
L’Ospedale di Matany, nostra meta finale, è una vera cattedrale del deserto, un posto incredibile, una di quelle realtà che ti mostrano che non esistono limiti là dove ci sono la volontà e l’impegno. E questa è la seconda magia.  
Domani si riparte presto, direzione Nabwal, finalmente un tuffo nella Karamoja vera. Entreremo nel vivo del lavoro, incontreremo le donne del villaggio e inizierà lo screening.
Ma adesso Beth e Leah dividono con me le loro arance e ridiamo di gusto alla luce della nostra lampada a petrolio.

A breve abbasseremo la fiamma e andremo a dormire pronte per la prossima magia.  
  

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