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30/04/2014

FEDERICA RACCONTA

“Stai tranquilla ...sarà una vendemmiata!”



2 aprile, ore 23:45, prima di spegnere il telefono, pronta per il decollo, leggo l’ultimo sms in arrivo: “Stai tranquilla… sarà una vendemmiata!”

Il pomeriggio, in effetti, ero stata colta da un’emozione paralizzante, mi sono chiesta però come mai mi si rassicurasse con l’immagine della vendemmia: forse per la confidenza che ho con la vigna, con il vino. Anche i miei pensieri hanno cominciato a perdere gravità: cos’è la vendemmia? E’la raccolta dell’uva. Che colore è l’uva? Bianca o nera, chiara o scura. La vendemmia è fatta da uomini, donne, bambini in un’atmosfera di unione familiare dove orgoglio e solidarietà viaggiano per un fine unico: il vino. Ed è anche un modo per superare l’individualismo.

Un buon vino si ottiene da una buona uva e tutte le azioni che vanno dalla raccolta alla bottiglia sono il risultato di un lavoro di amore comune.

Ho conosciuto Titti ed Afron nel 2011 quando l’Associazione aveva poco più di un anno di vita, era una vite giovane, poco più di una barbatella, subito sono stata attratta dai progetti in corso.

Ho seguito le loro attività dietro le quinte fin quando il profumo del mosto in fermentazione è stato per me irresistibile!

Nei giorni a Kampala la Family House è stata anche la nostra casa, un luogo silenzioso nel caos della capitale dove poter incontrare in dott. Andrew, un medico ugandese a cui l’Associazione sta offrendo la specializzazione in ginecologia e ostetricia, dove verificare il lavoro del team dello Nsambya Hospital, dove poter giocare con Jeremiah accolti dal calore dei guardians Anastacia, Maureen e Francis.

Jeremiah ha appena compiuto 8 anni, è affetto da nefroblastoma, la dolcezza e la gratitudine di suo papà, con cui soggiorna alla Family House, traspare in ogni gesto, sguardo o sorriso che ci viene rivolto.

In pochi giorni ho avuto la fortuna di conoscere tutte le attività dell’Associazione: ho conosciuto le fondatrici del UWOCASO, Gertrude e Speciosa, il dott. Jackson Orem, direttore dell’Uganda Cancer Institute, Ben Ikara dell’Uganda Child Cancer Foundation – UCCF – che abbiamo accompagnato agli incontri nelle scuole per il progetto 3C, un progetto che crede fortemente che la prevenzione e la diagnosi precoce siano le due strade più efficaci per sconfiggere il cancro.

Siamo state in due scuole: Uganda Martyrs di Namugongo e St. Joseph’s girls Nsambya. Incredibile vedere circa 200 adolescenti che contemporaneamente ascoltano informazioni sul cancro, per più di due ore, in religioso silenzio, osservarli, mentre, come fossero gesti di una danza, ripetono i gesti che Lea insegna loro per l’autopalpazione del seno. Gesti che insegneranno anche alle loro madri. Gesti che salveranno vite.

Surreale come tutto ciò riesca a regalarmi una grande serenità.

Il cancro colpisce tutti: bambini, donne, uomini, anziani, ricchi, poveri, ovunque nel mondo. E’ una malattia democratica, che non chiede permesso. La possibilità e il diritto di poter vivere la malattia con dignità non sono invece altrettanto democratici.

Isaac non ce l’ha fatta, la notizia arriva mentre ripercorro il viaggio attraverso queste parole. Titti ed io lo avremmo dovuto incontrare solo un pomeriggio, invece siamo state a trovarlo tutti i giorni trascorsi a Kampala. Il primo impatto con la sua stanza dell’ospedale mi ha tolto il respiro, sarei scappata dopo una manciata di secondi: mamme a terra con i bimbi malati tra le loro braccia, volti sofferenti e silenziosi, manine fasciate pronte per poter essere iniettate con chissà cosa, ma anche sorrisi e occhi pieni di luce.

Hellen, la mamma di Isaac, ne è la prova, la dolcezza dei suoi occhi desiderosi di speranza e grati all’abbraccio di Titti, mi incatena a quella stanza. Sono stata molto fortunata a conoscere Isaac, anche se ora provo una tristezza infinita per lui, per il dolore di Hellen ma, grazie ad AFRON, loro hanno potuto ricevere amore, cure, sorrisi, speranza e soprattutto dignità, hanno potuto dare un senso al dolore. L’abbandono e la solitudine, frutto della cultura dello scarto degli emarginati, sono assenza di speranza e dignità.

Sister Dorina da più di 30 anni dona dignità e speranza in Africa. L’abbiamo conosciuta al Lacor Hospital al termine del viaggio. Al Comboni Samaritans di Gulu, dove si occupa di disabili, orfani, sieropositivi, donne rapite durante la guerra, night commuters, dona loro riqualificazione sociale. Ha avuto l’onore di stare al fianco di Pietro e Lucille Corti, del dott. Matthew. Sister Dorina è un libro di storia dell’Uganda sul quale Titti ed io siamo inciampate l’8 aprile: quel cielo stellato e i suoi racconti sono stati un viaggio nella solidarietà. Il migliore dei modi possibili per terminare la mia prima vendemmia, augurandomi che la prossima arrivi presto.

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