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20/02/2020

VIAGGI CON UN UNICO BAGAGLIO: IL CUORE

Il racconto della Dr.ssa Ceribelli, oncologa, in missione con AFRON



 

Eccomi qui, è l’8 febbraio e sono all’aeroporto di Entebbe in attesa del volo di ritorno per Addis Abeba, dopo aver trascorso 7 ore in pulmino da Gulu, nell’Uganda del Nord.
 
La mia mente corre indietro in gennaio, quando Titti Andriani, in occasione della visita all’ALCLI a Rieti, mi propone, con il suo solito entusiasmo, di partire con lei da lì a 10 giorni per la missione “I SURVIVED, I WILL SURVIVE”.

Il mio ruolo sarebbe stato quello di sostituire la psico-oncologa impossibilitata a partire per un incidente in auto.

Nella testa cominciano a intrecciarsi tanti pensieri. Il momento sul lavoro è complicato e faticoso: bisogna concludere la relazione consuntivo sulla attività 2019, predisporre il budget 2020, redigere le valutazioni sulle performance individuali.  E poi ci sono due concorsi in ballo e tutte le dinamiche quotidiane di Reparto, Day Hospital e Hospice.
 
D’altra parte, mi dico, cogliere questa occasione avrà un senso che magari adesso non riesco ad afferrare ma potrebbe rigenerarmi e aiutarmi a guardare il mondo da un’altra prospettiva. Allora dopo l’altalena “partire o non partire” decido: parto!
 
1 febbraio:
Appuntamento con Titti all’aeroporto di Fiumicino in una situazione surreale e comica dettata dall’allarmismo “Coronavirus”, per cui i passeggeri, pochi in verità, si aggirano con maschere improbabili per le sale aeroportuali. Volo notturno Ethiopian Airlines per Addis Abeba e successivamente Entebbe.

2 febbraio:
Arriviamo in perfetto orario ad Entebbe, basta uscire dall’aeroporto e già si respira un’aria pulita, tiepida ed accogliente. Lì ci aspetta il fidatissimo autista Robert, che ci accoglie con un gran sorriso e ci porta in un ristorantino per un pranzo veloce sul lago Vittoria.Ecco i colori brillanti del lago, degli alberi, del cielo e la calma alla quale non siamo più abituati. Nell’attesa, la lentezza e la tranquillità sono parte del DNA degli africani, svolazzano sulla nostra testa stormi di uccelli e riesco a riconoscere il volo degli aironi. Non mi sembra vero, questa visione mi riempie di pace e serenità. Con Titti si sta bene e si parla del più e del meno con confidenza e condivisione.

Dopo la sosta ripartiamo per Kampala. La strada è spettacolare, un rincorrersi di colline verdi ricoperte di banani e piante di ogni genere.Arriviamo nel caos di macchine, camion e boda-boda di Kampala nel pomeriggio per una breve sosta dal falegname che ha prodotto le sedioline e tavolini verdi e arancioni per la sala giochi per i bambini del Lacor Hospital, dove siamo dirette.
 
La sosta è presso la Mills Hills Guest House, tenuta da una missione irlandese; la luce è bassa, calda, le ombre lunghe, tanta calma, silenzio e tranquillità. Mi ero dimenticata la forza del sorriso e la capacità di energia che arriva da questa gente. La cena è un bel momento pieno di partecipazione consapevole di esperienze di vita. La cucina è semplice con i prodotti locali: zuppa di verdura, tilapia (pesce di fiume) fritta, piselli e patate lesse. Tanta frutta profumata e colorata.
 
3 febbraio:
La notte è tranquilla con letto comodo; o forse tanta stanchezza per il lungo viaggio. Mi sveglio con una caviglia destra gonfia, sembra un’elefantiasi, ma pronta a partire per il lungo viaggio verso Gulu su un camion carico di mobili e suppellettili. Il sacerdote con cui ho fatto colazione mi ha augurato: “Have a safe journey” !!! Speriamo proprio di sì.
Un buon lunedì a tutta la mia famiglia… siete nei miei pensieri.

Arriviamo al Lacor Hospital nei pressi di Gulu dopo 7 ore di viaggio su strada asfaltata in buone condizioni. Stop pranzo lungo la strada a Kabalega Diner con buonissima samosa di carne e verdura. Non abbiamo potuto rinunciare alla tentazione goduriosa della banana fritta.
 
Durante il pranzo, con Titti ci siamo confrontate serenamente e con emozione su quello che ci hanno insegnato i nostri papà. Mancano tantissimo ad entrambe, ci hanno lasciato proprio in questi giorni 3 anni fa a distanza di 15 giorni l’uno dall’altro. La giornata è stata lunga e dopo la cena alla Guest House, di corsa a nanna.

4 febbraio:
Mi sveglio presto prima dell’alba, ringrazio per essere qui sotto la zanzariera in questa stanzona grande e vuota della nuova costruzione dedicata agli ospiti dell’ospedale. La colazione è piacevole con un clima tiepido in compagnia di medici specializzandi che per lo più sono italiani: anestesisti, pediatri, medici d’urgenza.

Alle 9.00 è previsto l’inizio del corso di training. Arrivano tutte le “breast cancer survivors”, le donne dell’associazione UWOCASO, le ostetriche alla spicciolata, sono circa venticinque, e inizia il corso di formazione.

Come sono carine nei loro abiti sgargianti e il loro sorriso riconoscente ancor prima di iniziare. Ad organizzare il tutto e vero leader e conduttore è il Dr. Francis. La prima impressione, confermata con il passare dei giorni, è il buon livello di preparazione, ma soprattutto il grande impegno nella dedizione ed organizzazione della giornata.

Titti, nonostante la sua bronchite, fa la sua presentazione alla grande.  Dopo anni e anni ormai è una speaker d’eccezione. Spiega con calma e passione tutte le attività che porta avanti AFRON e i risultati raggiunti, che sono il miglior biglietto da visita per chi non la conosce.

La mia relazione dal titolo “The psycosocial aspects of breast cancer patients” mi sembra un po’ asciutta, causa un inglese un po’ arrugginito che non mi permette di argomentare. Spero che mi abbiano capito!
 
Il corso finisce nel tardo pomeriggio e subito dopo con Titti e il Dr. Francis ci imbarchiamo in ambulanza (utilizzata in questa occasione come mezzo di traporto) alla volta del centro di Gulu per un’intervista alla radio locale allo scopo di divulgare al meglio il significato della giornata di oggi: il “WORLD CANCER DAY”.

Rientriamo in guest house con il pulmino utilizzato dai locali, pressati come sardine; sono le 22.00 passate e non abbiamo ancora cenato!
 
5 febbraio:
Il tempo è bigio, ma la temperatura è mite. Dopo la colazione con le specializzande assonnate che si avviano al lavoro, inizia il 2° giorno di training.

Gertrude è una donna speciale, sopravvissuta ad un tumore alla mammella, ora si dedica pienamente, per l’associazione UWOCASO, alla sensibilizzazione e formazione di altre donne, per insegnare loro che,  attraverso la conoscenza dei tumori femminilie la diagnosi precoce, si può guarire.
 
La sua presentazione riprende e ricalca i concetti delle mie parole del giorno prima, ma per certo è più incisiva e comunicativa di me. Tutte le partecipanti sono rapite e concentrate sulle sue parole.
 
Al termine vengono consegnate alle partecipanti reggiseni e protesi di varie taglie e forme per ovviare alla mutilazione estetica, ma non solo. La scena è divertente perché sono così eccitate che cominciano a provare gli intimi sopra i vestiti per trovarne la forma e il modello migliore per loro, litigandosi l’uno o l’altro: sembra l’apertura dei saldi.

La giornata prosegue con la simulazione di “counselling”: paziente-counsellor. Sono tutte delle brave attrici e si divertono nel mimare situazioni che vivono di frequente. Sono ammirata dalla loro partecipazione e impegno nel cercare di dare il meglio di sè stesse.

Il Dr. Francis traduce continuamente dall’inglese alla lingua acholi perché non tutte sono avvezze all’inglese. E’ paziente e collaborativo, facendo wrap-up frequenti e dilungandosi in spiegazioni e chiarimenti.

Sono sorpresa da quanto queste donne, in apparenza timide e balbettanti, siano cambiate in un solo giorno …. ora tutte parlano e condividono, rassicurate, le loro storie terribili ed esperienze di vita inquietanti. Non nascondo che mi è uscita qualche lacrimuccia.

Sono talmente brave che oggi mi sembra che la mia presenza qui sia superflua, sto imparando molto da loro.
 
6 febbraio:
Il corso prosegue per le counsellors che iniziano la prova pratica nei padiglioni del Lacor Hospital, accompagnate da Gertrude e il Dr. Francis.

L’ospedale è formato da tanti padiglioni che insistono su un terreno ricoperto di alberi, dove la gente, i familiari, i caregivers possono riposare ed assistere i loro malati, perchè la struttura non fornisce alcun alimento, né biancheria ai pazienti ricoverati.
 
La gente cucina all’aperto e lava in una fonte da cui si deve pompare l’acqua a mano. L’atmosfera è serena o meglio rassegnata, nonostante i frequenti scrosci di pioggia torrenziale a cui si sussegue il sole. Un sole che asciuga in un attimo ogni cosa. Titti ed io controlliamo ed organizziamo le pulizie delle salette dedicate al cinema e ai giochi. I bambini quando mi vedono si spaventano e piangono perchè non hanno mai visto colori così chiari di pelle e capelli.

Oggi con un gran caldo iniziamo il lavoro di addobbi della sala cinema: attacchiamo stickers del Re Leone, Pumba e altro, per fortuna ci aiuta un ragazzo locale molto disponibile che si rivela preciso e delicato. Senza di lui non ce l’avremmo fatta da sole.
 
Sistemiamo le sedioline arancione ed ecco che il cinema prende forma…che soddisfazione!!!

7 febbraio
La giornata di oggi è scandita dalla preparazione della cerimonia funebre di un’ostetrica del Lacor Hospital morta insieme al suo bimbo in seguito a complicanze da parto. L’ospedale è come una grande famiglia ed il coinvolgimento è incredibile. Il prato interno è stato allestito con gazebi, sedie, palchi, coro, musica. Se non se ne sapesse il motivo sembrerebbe una festa.
 
L’ospedale e tutte le attività si fermano per tre ore per dar modo a tutti di partecipare. Saranno un migliaio tra studenti, giovani tirocinanti, infermieri, ostetriche, medici, amministrativi, operai … e la tristezza è mitigata dalla bellezza dei colori delle loro divise e dalla melodia dei canti. Un’esperienza unica nel suo genere.

Alle 12.00 abbiamo appuntamento con Evandro, il Direttore Amministrativo del Lacor Hospital, e Carolina, una giovane ragazza italiana che lavora con lui, per fare un giro al mercato di Gulu. Il mercato coperto è spettacolare, tanti banchi di legno separati tra loro, che si distribuiscono dal piano terra su per tre piani come in un teatro.
 
I rumori sono il vociare sommesso dei venditori che parlottano tra loro. Non si sentono né urla, né musica assordante. L’odore, un misto di spezie, pesce secco e sementi, non saprei come definirlo, è particolare, ma non sgradevole. Infiniti i colori; ma i toni prevalenti sono quelli caldi della terra: giallo, marrone, beige, verde, arancio.
 
Mangiamo in un ristorantino indiano/eritreo; le chiacchiere e i racconti di vita sono sempre interessanti. Evandro ha vissuto tanti anni all’estero tra Libano e Sud Sudan e mi rendo conto di come esistano ancora mondi, usanze, tradizioni come 100 anni fa delle quali non sappiamo assolutamente nulla. La mia curiosità è così stimolata che vorrei ascoltarlo per ore, ma Carolina deve tornare in ufficio.
 
8 febbraio
Si parte alle 9.00 per Entebbe, in un pulmino con un gruppo di medici di base canadesi in partenza per Montreal. Viene con noi anche Titti per accogliere altri volontari che arriveranno domani.
 
Guardando fuori dal finestrino, da cui entra la calda aria africana, scorrono rapide immagini dai colori forti, il verde degli alberi, il rosso della terra. Sono pervasa da sensazioni contrastanti: tristezza di lasciare questo paese e la sua gente che tanto mi affascinano, ma anche soddisfazione per aver avuto la forza e la determinazione di partire. Ne valeva veramente la pena!

 

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