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30/04/2020

LA COOPERAZIONE NON SI IMPROVVISA

Quando è in gioco la sicurezza dei nostri volontari



 

Premesso che per salvare anche solo una vita umana qualsiasi cifra da pagare è giustificata, che non voglio entrare nel merito delle polemiche governative e che non ho alcun diritto di giudicare la conversione all’Islam di Silvia, perché dietro ci sono delle motivazioni che forse noi non riusciremo mai a comprendere.

Non mi sento di criticare l’ingenuità di una ragazza, poco più che ventenne, che ha voglia di cambiare il mondo e pensa di farlo da sola a Chakama, facendo giocare i bambini. Chi persegue un ideale volto al benessere altrui deve essere sempre e comunque apprezzato.

Quello che mi lascia perplessa invece è la superficialità con cui Silvia è stata inviata in missione.

Sono Presidente di una Onlus che ha appena compiuto 10 anni. Operiamo in ambito di Cooperazione Internazionale e la nostra mission è quella di garantire l’accesso a programmi di prevenzione e cure oncologiche alle popolazioni africane.

Quando è stata fondata l’Associazione, abbiamo effettuato uno studio di fattibilità su diversi paesi africani per decidere quale fossero quelli più idonei a ricevere un nostro intervento. Fra le analisi effettuate, anche la PEST, ovvero lo studio delle condizioni politiche, economiche, sociali e tecnologiche del paese.  

Il primo fattore che ha determinato le nostre scelte è stata la sicurezza, per noi e per i numerosi volontari che avremmo inviato in missione.

Non a caso abbiamo scelto l’Uganda, un paese cattolico che con l’Italia vanta un dialogo di lunga tradizione. Qui i progetti di cooperazione sono numerosi, così come si avverte forte la presenza degli italiani, fra cui i missionari comboniani.

L’Uganda è un paese relativamente tranquillo dove puoi operare con programmi a lungo termine, che possano assicurare sostenibilità e impatto sul territorio. Dico relativamente perché, come gran parte dei paesi africani, può essere soggetto a rischio di insurrezioni così come a scoppi di epidemie ma, se hai una buona conoscenza del contesto politico, sociale e sanitario, puoi certamente evitare di metterti in pericolo.

Il Kenya è un paese notoriamente pericoloso, che negli ultimi anni ha contato numerose vittime di attentati a sfondo terroristico.  Diverse volte, durante le riunioni del nostro Consiglio Direttivo, abbiamo pensato di allargare le nostre attività al confinante Kenya, come abbiamo fatto per 3 anni con il Rwanda, ma poi siamo stati scoraggiati dalla presenza dei ribelli di Al-Shabab e dagli alert della Farnesina.

Se vuoi lavorare in un paese come il Kenya devi far parte di un progetto di Cooperazione Internazionale, devi avere una massima conoscenza del contesto e saperti relazionare con gli attori locali. Ma soprattutto devi garantire la sicurezza ai tuoi operatori. Non puoi improvvisare.

Anche in un paese come l’Uganda, le accortezze da adottare sono molteplici. Dal momento in cui mettiamo piede all’aeroporto di Entebbe, l’Ambasciata Italiana segue ogni nostra mossa. Alloggiamo nelle guest house degli ospedali dove c’è un servizio di guardiania armata, utilizziamo per gli spostamenti degli autisti fidati e raccomandati dai partner locali.

Tutti i nostri volontari sono coperti da assicurazione con una delle Compagnie più importante nel settore della Cooperazione. Ne sono partiti a decine in questi anni, fino ad oggi solo i medici sono stati 43, ma sono sempre stati accompagnati da me o dai nostri Program Manager, persone che questo lavoro lo fanno per professione.

Insomma, va benissimo essere animati dalla voglia di cambiare il mondo, ma per lavorare nella Cooperazione Internazionale ci vogliono altissime competenze.

Se no si rischia di fare del male, pur essendo buoni.

Titti Andriani

 

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